Summarize this content to 2000 words in 6 paragraphs in english A quasi sei mesi dal voto di giugno per il rinnovo del Parlamento europeo, domani l’Eurocamera si esprimerà sull’atto finale di apertura ufficiale della Commissione von der Leyen II, il secondo mandato della leader tedesca a capo del governo di Bruxelles. Dopo l’esame dei singoli commissari, infatti, il plenum dell’assemblea di Strasburgo voterà in toto la squadra di “ministri”, tra vicepresidenti e singoli delegati alle varie materie oggetto di legislazione europea, che affiancheranno l’ex ministra della Difesa di Berlino nei prossimi cinque anni. Si tratta, in altre parole, del voto finale di conferma per il collegio dei commissari.Manca ancora l’ultimo metro, quindi, ma non è detto che quest’ultimo test non possa riservare sorprese. Si parte dai tre gruppi della “maggioranza pro-europeista”, quelli che la scorsa settimana hanno siglato il documento che ha permesso di sbloccare lo stallo sui veti incrociati per Raffaele Fitto e Teresa Ribera: Partito popolare europeo (Ppe, 188 seggi), Socialisti e democratici (S&d, 136 seggi), Renew Europe (77 seggi). Nel Ppe, che esprime 14 commissari oltre alla stessa von der Leyen, non si dovrebbero registrare grandi defezioni oltre alla delegazione spagnola (22 deputati), orientata verso l’astensione a causa della presenza proprio di Ribera in un ruolo di primissimo piano; e quella slovena (5) anch’essa contrariata nei confronti della propria commissaria, Marta Kos. Voteranno sì anche i francesi, tra i contrari dello scorso luglio. Tra i 188 deputati totali del Ppe, quindi, è possibile aspettarsi 160/165 sì. Raffaele Fitto e Teresa Ribera (Ansa/ApPhoto) Tra i socialisti, invece, la situazione è più frastagliata. Verso il no i francesi (13) e una parte dei belgi (4, gli altri dovrebbero astenersi); mentre l’astensione potrebbe essere una scelta più equilibrata per molti, tra cui i tedeschi (14). Sui 136 deputati di S&d, almeno 100 sì dovrebbero essere garantiti. Tra i liberali (77 deputati) si contano poche defezioni, tra cui i belgi (5). Ci si può aspettare 65/70 voti.Sui 401 deputati della maggioranza, quindi, si contano tra i 325 e i 335 voti. A questi 401, però, non corrispondono i 401 voti raccolti da von der Leyen in occasione della sua conferma alla presidenza della Commissione, a luglio. In quell’occasione, infatti, in suo soccorso erano intervenuti i Verdi, che adesso appaiono spaccati: il co-presidente del gruppo Bas Eickhout ha parlato di una “leggera maggioranza” per il sì, con 25 deputati circa che si erano espressi a favore della conferma e altri 8 indecisi. Dovrebbero essere favorevoli le delegazioni tedesca (15 deputati), i nordici (3 danesi, 2 finlandesi e 3 svedesi) e i due deputati dei baltici. Se dovessero recuperare all’ultimo minuto qualche indeciso, ci si attesterebbe sui 25/30 deputati. Infine, un supporto arriverà anche dal lato destro dell’emiciclo. La delegazione di Fratelli d’Italia (24 deputati) ha già annunciato il suo voto favorevole, a differenza dell’altro grande partito del gruppo dei Conservatori e riformisti (Ecr), ovvero il Pis polacco. Altre delegazioni del gruppo dovrebbero unirsi a FdI, come quella belga (3) e quella ceca (3), portando il totale a circa 30 voti favorevoli.In definitiva, Ursula von der Leyen arriva alla vigilia dell’ultimo voto di conferma con un bottino tra i 380 e i 400 voti. Abbastanza per superare agevolmente la soglia di conferma (maggioranza semplice dei voti espressi, a differenza dei 361 richiesti a luglio), ma non tali da dare un segnale politico positivo. Storicamente, infatti, le Commissioni guadagnano voti tra il primo e il secondo voto, anche per effetto delle delegazioni nazionali che esprimono i commissari. La stessa von der Leyen fu eletta con 383 voti nel 2019, per poi vedere la propria maggioranza salire a 461 deputati nel voto sul collegio. Nel 2014 Juncker guadagnò un solo voto, ma partendo già da una maggioranza piuttosto ampia (da 422 a 423). Non è mai successo, finora, che una Commissione perdesse consensi tra i due voti. E tutto questo dopo aver allargato a tutti gli effetti la maggioranza sia a sinistra (Verdi), che a destra (Ecr).

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